Lo strumento base della visita oculistica: la lampada a fessura

A cura di Mario Parma, medico specializzato in Oftalmologia, convenzionato con Ente Mutuo Regionale

L’apparato della vista, e in particolare l’occhio, ha dimensioni estremamente ridotte. Il suo diametro medio è di circa 24 mm, ma le strutture che lo compongono e in esso contenute sono parecchie e di varie tipologie, molto diversificate. Ad esempio la cornea, la coppetta trasparente anteriore del diametro di circa 12 mm, ha uno spessore medio, al centro, di mezzo millimetro, o 550 micron (millesimi di millimetro). La retina, che ricopre tutto l’interno del globo oculare, ha uno spessore medio di 0,40 mm, o 440 micron ed è composta di una decina di strati sovrapposti. All’interno del bulbo è contenuto un liquido cristallino e trasparente nella parte anteriore e, dopo il cristallino, posteriormente, un gel chiamato gel vitreale.

Come si nota siamo in un ambiente particolarmente ridotto di dimensioni, ma dai grandi campi di studio. Occorre ingrandire questo piccolo mondo per riuscire a vedere, capire e interpretare le varie e molteplici patologie e alterazioni che possono sopravvenire.

Il medico oftalmologo si serve di uno strumento basilare per la sua attività: la lampada a fessura. Inventata nel 1911 da Alvar Gullstrand, è assimilabile al fonendoscopio per il cardiologo, ma molto più complicato. Presente in ogni studio e ambulatorio, essa consta di un biomicroscopio binoculare mobile con diversi ingrandimenti; di un sistema illuminante raffinato e modulabile: per orientamento, intensità, grandezza e, appunto, per larghezza, potendo restringere il fascio luminoso circolare fino a una sottile fessura di luce.

Questa modalità, opportunamente angolata rispetto all’asse visivo di osservazione, consente di vedere tutte le strutture oculari e studiarne trasparenza, morfologia, lesioni, opacità, perdite di sostanza e tutto quanto serve per fare diagnosi corrette.

È possibile interporre particolari filtri lungo il percorso della luce come, ad esempio, il filtro blu cobalto o quello rosso privo. Il primo serve per esaminare il film lacrimale, previa instillazione di un colorante fluorescente, con tutte le caratteristiche che lo definiscono: come quantità, qualità e stabilità sulla superficie oculare, informazioni fondamentali per valutare l’occhio secco. Il secondo per l’analisi dei vasi sanguigni.

Dopo l’instillazione di un collirio che dilata la pupilla si può osservare la lente interna, chiamata cristallino, e le sue modificazioni quando vira verso l’opacità della cataratta.

Con particolari lenti si esplora il fundus oculi, in stereoscopia e ingrandito, con i relativi vasi, e la porzione centrale della visione distinta chiamata macula. Così come si può rilevare la presenza di un distacco di retina.

Per lo studio del glaucoma s’ispezionano le delicate strutture dell’angolo camerulare e, con un apparecchio accoppiato chiamato tonometro, si misura la pressione intraoculare.

L’abbinamento con una videocamera consente di visionare le immagini su un monitor o in un computer per illustrare dettagliatamente al paziente i particolari della visita, o per monitorare l’evoluzione di patologie, o per esigenze cliniche di ricerca o medico legale.

Come è stato illustrato in queste brevi righe è evidente che non è certo possibile fare diagnosi e prescrivere terapie sulla base di una fotografia fatta con un cellulare, quasi sempre sfuocata, scarsamente dettagliata e con scarsa illuminazione, inviata tramite WhatsApp al medico. Una pessima usanza che dovrebbe essere evitata, usando un minimo di buon senso e di rispetto verso una professione delicata e complessa come la medicina.

Mario Parma  8-5-2024