A cura di Diana Turner, psicologa e collaboratrice dell’Associazione Psyché
Il fenomeno degli hikikomori trova le sue radici nella cultura giapponese degli anni 80’, in cui adolescenti e giovani adulti, sentendosi schiacciati dal peso delle richieste da parte del sistema sociale, hanno deciso di chiudersi in casa confinandosi nella propria stanza.
Ma chi sono gli hikikomori? Il termine è stato introdotto per la prima volta nel 1998 da uno psichiatra giapponese di nome Tamaki Saitō che ha notato negli adolescenti e nei giovani adulti della sua cultura una particolare forma di ritiro sociale volontario in cui ragazzi, perlopiù maschi tendevano a isolarsi dalla loro comunità.
Il passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta, in cui si presuppone che il giovane adulto entri a far parte nel mondo del lavoro, si dimostra il momento più critico e fragile che acuisce queste difficoltà dal punto di vista sociale, causando come risultato estremo il ritiro.
Quali sono le principali caratteristiche che contraddistinguono questa figura?
In primo luogo, come abbiamo detto, troviamo l’isolamento sociale volontario della durata di almeno sei mesi da parte dei ragazzi che, progressivamente, tendono a lasciare le compagnie di amici e a frequentare sempre meno la scuola, fino all’abbandono scolastico, spesso associato a forme di fobia scolare.
In secondo luogo, è presente un’importante inversione dei ritmi circadiani per cui questi ragazzi tendono a dormire di giorno e a restare svegli di notte. Questo secondo aspetto sembrerebbe essere causato dalla difficoltà dei ragazzi nel mettersi a confronto con il resto della società che appunto durante la giornata è produttiva e indaffarata. Dormire di giorno permette loro infatti di non affrontare la quotidianità e le piccole e grandi sfide che questa comporta
Questo fenomeno col tempo si è esteso interessando, oltre il Giappone e alcune altre parti del mondo, anche l’Italia. Ma quanti sono effettivamente questi giovani che decidono volontariamente di allontanarsi dalla società?
Purtroppo la risposta a questo interrogativo non è semplice proprio a causa delle caratteristiche peculiari del fenomeno, che spesso resta sommerso. Le famiglie che decidono di intervenire, rivolgendosi a uno psicoterapeuta e/o a uno psichiatra o a una associazione sono ancora poche rispetto a quelle interessate da tale condizione. Ciò nonostante però, ad oggi sappiamo che nella nostra società questo fenomeno non interessa più solamente gli adolescenti: la fascia di età coinvoltasi è estesa fino ai trentenni, che vivono un forte senso di inadeguatezza e non si sentono all’altezza né di proseguire il percorso di studi né di entrare nel mondo lavorativo.
E’ indubbio che le restrizioni e l’ isolamento forzati che si sono resi necessari durante l’emergenza Covid 19 abbiano slatentizzato condizioni pregresse di sofferenza psicologica che, in taluni casi, hanno contribuito a incrementare il fenomeno. Talvolta questa condizione viene erroneamente confusa con il disturbo da dipendenza da Internet (IAD) ma i due fenomeni, nonostante siano spesso correlati, in quanto solitamente i rapporti sociali diretti sono sostituiti con quelli mediati via Internet, non sono necessariamente compresenti.
Come intervenire? La risposta si può trovare nella combinazione di diverse tipologie di intervento che insieme permettono di creare una rete di supporto in grado di promuovere le risorse del soggetto e della sua famiglia. Ad esempio l’Associazione Psyché offre un tipo di intervento che prevede la possibilità di visite domiciliari da parte degli psicoterapeuti, in modo che questi possano incontrare i ragazzi che non riescono a uscire di casa, oltre che consultazioni con i loro genitori (clicca qui per scoprire l’agevolazione riservata ai Socio di Ente Mutuo).
In generale, dovremmo fare tutti più attenzione ai comportamenti degli adolescenti e dei giovani adulti che segnalano vissuti di disagio e inadeguatezza, accompagnati da difficoltà di socializzazione se non addirittura ritiro sociale. Questa condizione non riguarda solamente i ragazzi coinvolti in prima persona nell’auto isolamento, ma investe anche le loro famiglie: i genitori spesso vivono un profondo senso di sconforto e inadeguatezza in quanto non sanno come rapportarsi ai propri figli che si sono chiusi in loro stessi fisicamente e psicologicamente.
Il fenomeno degli Hikikomori è senza dubbio un fenomeno complesso che richiederebbe una maggiore attenzione da parte delle politiche sociali che dovrebbero adoperarsi per attivare risorse territoriali in grado di rispondere ai particolari bisogni che ad esso si accompagnano.
Bibliografia
Lancini M., Madeddu F. (2014). Giovane adulto. La terza nascita. Raffaello Cortina
Lancini M. (2010). Cent’anni di adolescenza. Contributi psicoanalitici. Milano: Franco Angeli.
Lancini M. (2019). Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa. Raffaello Cortina.